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My selfie diary

01:45, foto archivio personale, 2018

Da sempre l’autorappresentazione (ritratto e autoritratto, fotografico e pittorico, rappresentazione di sé stessi nelle vesti altrui, identificazione in simboli...) ha interessato l’uomo e gli artisti, un po’ per scongiurare la morte, un po’ come strumento di autoanalisi, altre volte come status symbol.

 

La fotografia, però, data la sua immediatezza nell’espressione del gesto di autoraffigurarsi mediante un qualsiasi meccanismo di autoscatto, ha messo in evidenza un aspetto che in realtà troviamo anche in pittura: ovvero la possibilità di assumere identità diverse, appagando un bisogno profondo che anche Freud aveva messo in luce.

 

Autoritratto e scrittura autobiografica sono però due realtà molto diverse, poiché l’autoritratto è il gesto di un particolare momento, e non vi è racconto autobiografico.

 

L’autobiografia, invece, è caratterizzata dalla dimensione della memoria, della memoria autobiografica che, a sua volta, si basa su frammenti di memoria che l’individuo lega l’uno all’altro a formare una narrazione.

Ogni narrazione autobiografica è anche un’invenzione perché i frammenti di memoria sono continuamente interpretati per adattarsi gli uni agli altri in una continuità narrativa.

 

In qualunque caso, le narrazioni autobiografiche sono sempre costruite, plasmate, cariche di sfumature, adattate alla concretezza delle diverse contingenze. Più occasioni si presentano e più variazioni subirà la narrazione autobiografica.

 

La videoarte My selfie diary è un’opera che testimonia e descrive la molteplicità, la contraddittorietà e il continuo divenire del nostro Io: presenta, in sequenza, e ritagliate, un archivio di selfie, autoscatti, foto scattate da altre persone, autorappresentazioni digitali, fototessere e varie registrazioni, a volte sovrapposte, altre volte no, di memorie autobiografiche.

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